L’ecologia, ormai, è nel nostro orizzonte. Si fanno sempre più ricorrenti i termini: architettura ecologica, bioedlizia, bioclimatica, bioarchitettura, edilizia sostenibile, edilizia verde, ecc. Anche se spesso usati come sinonimi, ciascuno di essi cela diverse correnti di pensiero.
Bioclimatica è il termine più maturo per età, riflessioni, applicazioni. Introdotto negli anni ‘70 assieme alle tecnologie solari «attive» (collettori solari, pannelli captanti, ecc.) sviluppò in seguito una visione solare «passiva» dell’edificio nel suo complesso (superfici captanti, masse di accumulo, serre, gestione moti convettivi dell’aria, muri di Trombe, ecc.). Oggi si orienta verso valutazioni prestazionali, controllo dei parametri, tecnologie integrate, sistemi di riscaldamento / raffrescamento, incremento della luce naturale e simili, ponendo sempre più in relazione l’edificio con gli elementi quantificabili esterni.
L’attenzione che si sposta dal processo costruttivo alle sue finalità, è di matrice tedesca, con la Baubiologie, in italiano Bioedilizia, che distingue tra due parametri, non sempre convergenti: il problema energetico (eco-sostenibilità, comprendente anche i materiali) e il problema della salute umana (bio-compatibilità). I quali, come nel frattempo aveva definito la nozione di sostenibilità, vanno declinati “dalla culla alla tomba” e “garantendo le generazioni future”.
Se l’Ingegneria verde, con la fuga in avanti connessa con l’adesione tecnologica è di stampo anglosassone, la Bioarchiettura è accezione maturata in ambito sostanzialmente italiano. Vede l’essenza dell’ecologia nella durata del manufatto, perseguibile più che attraverso stratagemmi tecnologici, mediante l’attribuzione di significati.
Per trasformare una sommatoria di tecnologie e materiali – ovviamente biocompatibili ed ecosostenibili – nella casa dell’uomo (ma anche della donna, dell’anziano, del bambino, del disabile, degli abitanti del Sud del mondo) è necessario coinvolgersi nelle tradizioni, nei codici, nei linguaggi adottando un’ottica complessiva (inevitabilmente urbana) che richiede scelte consapevoli e responsabili. La razionalistica coerenza tra la forma e la funzione perde di significato, sostituita dalla verifica circa la facilità di antropizzazione dello spazio, la percezione del “sentirsi a casa”, la possibilità di mettere radici. Si tratta di una sorta di “nuovo umanesimo” che pone la vita e la sua qualità come obiettivo primario del progetto. “Tempo e spazio”, riferimenti classici dell’architettura, vengono letti come necessità di adesione alla storia e alla geografia, cioè alle “persone ed ai luoghi”.
La rottura con il funzionalismo (la casa come macchina per abitare e il territorio come superficie indifferente) e con il formalismo (autoreferente e spettacolare) è divenuta ideologica.
UGO SASSO